Oggi Kundera avrebbe intitolato il suo libro così. L’avere è sinonimo dell’essere, la leggerezza dell’avere corrisponde al non essere, all’ essere fluttuante, emarginato, sconosciuto,senza coordinate, privo di punti di riferimento. La società attuale considera l’avere come requisito fondamentale del poter essere. Avere prima di tutto denaro, molto denaro. Avere successo, sapersi imporre, saper gestire la maggioranza, usarla per i propri scopi. Avere beni di consumo primari, ma soprattutto secondari, icone dello status, avere donne/uomini. La società del possedere non lascia spazio agli ultimi. Non lascia spazio alla sensibilità, alla poesia del quotidiano, alla famiglia intesa non come monade ma come gruppo aperto sul mondo.
L’avere sprona alla guerra, alle conquiste, al possesso incondizionato, in campo pubblico come nel privato. L’avere allontana i fratelli e crea alleanze perverse tra nemici nella lotta contro ex amici. L’avere corrompe, costringe, violenta, uccide.
L’avere ha creato una classe politica dirigente senza scrupoli, senza anima. Ha benedetto l’avidità come qualità di comando e considerata inidonea la generosità. Ha amplificato il rumore del ricco e spento l’urlo del povero. Ha considerato lecito il sopruso e l’ingiustizia e ha condannato la reazione ad esso. Ha legittimato la violenza socioeconomica, giustificandola come scelta politica. Ha confuso il diritto con la concessione di favori, ha dimenticato i doveri dei grandi e sottolineato quelli degli ultimi.
L’avere ha contrabbandato la pubblicità come cultura, la notizia di parte come libera informazione, l’insulto come satira, l’assenza di idee come ironia.
Che cosa insegnerò ai miei figli, per non costringerli ad una sorta di devianza, e non dover comunque sottostare ad un condizionamento come quello attuale? Nulla, se non che la sconfitta dell’avere passa solo e soltanto attraverso una rivalutazione globale e totale dell’essere.