Sono piccoli e delicati, qualche volta. Oppure grandi e vivacissimi. Disegnano solo alcune aree del corpo, o coprono quasi integralmente abbandanti porzioni di pelle. Monocromatici o variamente colorati, con rappresentazioni fantastiche e terribili o solo con scritte e numeri. Simboli giapponesi o figure polinesiane, di carattere religioso ma più facilmente laico. Si intravvedono quando gli indumenti si
scompongono, o al contrario sono come un manifesto pubblicitario che non passa inosservato. Dalla testa ai piedi senza differenza, purchè appaia. Sono i tatuaggi, i tattoo, bodyart del nostro periodo. Caratterizzano una generazione mescolando età e fasce sociali: giovanissimi e cinquantenni, vip e persone assolutamente anonime di basso rango, tossicodipendenti e rispettabili funzionari di banca. Il tatuaggio è la nuovo frontiera dell’essere: far apparire un lembo del proprio corpo disegnato o scolpito dal mistico ago, equivale a migliorarsi, e trovarsi più presenti a se stessi, insomma “mi tattuo dunque sono e sono migliore”. Il tattuaggio slatentizza potenzialità sconosciute, l’apparire si dimostra determinante: mentre presento il mio disegno presento il mio corpo trasformato. Sono quello che il tatuaggio esprime, una farfalla, un drago, un fiore, una frase made in Japan o in lingua Maori. Ma è indispensabile che il tatuaggio sia visibile: allora le maglie si accorciano e lasciano intravvedere il fondo della schiena dove prende vita dal basso un’immagine, o il seno prorompe per mettere in luce una piccola macchia colorata, complicata e delicata nello stesso tempo. O ancora al primo lieve tepore si indossano pantaloncini per far
convergere l’attenzione sul sottostante polpaccio annerito dall’inchiostro di un amanuense a pagamento.
E’ una tribù che si muove attraverso il linguaggio del corpo, dentro un alfabeto per iniziati, che racconta questa società e la voglia di uniformarsi. Non è il diamante per sempre, è il tatuaggio. Rimane sulla pelle a dichiarare che c’è. Non un cambiamento, è un marchio indelebile che oggi condiziona “allegramente” anche per un eventuale funesto domani. Il tatuaggio dei nostri giorni non ha il sapore scanzonato del tatuaggio del marinaio che in ogni porto si trafigge la pelle con il nome dell’amata. No, ha il gusto aspro della vita che cerca sicurezza e stabilità nel precario, trasformandolo in definitivo. ”Sono forte perchè il mio lupo è forte, sono astuto perchè il mio serpente è astuto, sono vivo perchè il mantra disegnato sul collo mi da la vita”.